La Libro d’Oro ha editato, per conto di VIVANT, il volume “…alla corte imperiale giapponese”
“…alla corte imperiale giapponese”
Resoconto del viaggio della regia pirofregata Giuseppe Garibaldi, 1872-1874
a cura di Giovanni Riccardi Candiani
Oltre all’importante valore storico, è anche una testimonianza di vita della seconda metà dell’800. Riportiamo alcuni passaggi…
Appena alzati prendiamo il nostro bagno in grandi tinozze di legno in un locale a parte, quindi facciamo un giro in giardino, ove scopriamo sempre qualche cosa di nuovo. Tra le altre vedo una enorme vasca di bronzo di cinque o sei metri di diametro. È coperta di ornati, scritture e disegni ed è un trofeo che i Giapponesi presero nella guerra di Corea due secoli fa
Mi pareva di cominciare allora a dormire (eran le nove del mattino) quando son chiamato in fretta, era il Principe Dati uno degli ex gran daimios, che veniva a far visita al Principe. Si riceve, è vestito di tela di Russia-fustagno, che qualche imbroglione gli ha venduto come stoffa elegante in Europa, per tenuta del mattino. Prima tazza di the che religiosamente bisogna bere. A questo daimios è successo lo scorso anno un brutto scherzo. Era ministro degli Esteri (i giapponesi hanno imparato da noi a cambiare il ministero ad ogni luna nuova) e andò in China a fare un trattato di commercio. Ma gli astuti figli del celeste impero lo misero nel sacco e gli fecero firmare molti articoli svantaggiosissimi al suo paese. Al suo ritorno in Jeddo fu da tutti accusato, perdette il posto e per dippiù fu dall’opinione pubblica additato come meritevole dell’hara-kiri. (Saprai che è l’operazione d’aprirsi il ventre, operazione piuttosto incomoda a farsi, credo, anche da un giapponese). L’infelice che ha molti figli ed è buon padre di famiglia, piuttosto che sacrificare l’onore di questa, vestì l’abito bianco che ogni gentleman deve avere per la funzione ed aspettò quindi giorni che il Mikado gli mandasse l’ordine d’aprirsi il ventre. Furono quindi giorni di agonia ma infine l’ordine non venne. Il Mikado era amico intimo di Dati, e la mancanza di questi involontaria. Ora questo signore vive ritirato e non ha alcuna ingerenza nel governo.
Il teatro è in legno, come in legno sono tutti gli antichi fabbricati giapponesi. La sala è molto grande con un solo ordine di palchi, è di forma quasi quadrata ed il palco scenico riesce molto spazioso e anche bene ordinato. È provvisto al centro di una piastra girevole come quelle della ferrovia, sulla quale s’innalzano mobilia ed alberi secondo l’occasione, in modo che imprimendogli un quarto od una mezza rotazione si può cambiare in un momento l’aspetto del palco scenico. La musica è situata lateralmente e non differisce punto da quella già sentita. L’illuminazione meschina e puzzolente. Il pubblico numeroso, animato, ma educato e rispettoso. Le decorazioni del teatro sono o nulle o meschinissime e pel momento i nostri teatri non hanno da temere di essere sorpassati. Quale sia stata la rappresentazione è cosa difficilissima a dire. Lo stesso interprete che m’ero fatto sedere vicino a me non comprendeva tutto. Mi sarebbe impossibile trovarci un nome. Vi fu commedia, tragedia, canti, salti tutti insieme. Il soggetto è sempre mitologico. Gli attori son vestiti con abiti fantastici e grotteschi, le donne sono proscritte dal teatro. Il modo di illuminare gli attori è curiosissimo. Piccoli ragazzi tengono una candela ficcata in cima di una lunga asta e seguitano l’attore accostandogli la candela sotto il viso e non sempre senza pericolo. L’effetto generale che provasi è quello che si può avere da una riunione di quaranta gatti arrabbiati, una dozzina di bottai e altrettanti calderai in esercizio del loro mestiere. Tutto ciò non è atto a dare una idea favorevole sull’arte drammatica giapponese, ma è la verità
…siamo andati gran casa da the di Atago-Yama. È posta sopra una collina che domina tutta la città e dalla quale si gode di una vista stupenda. Di là vediamo il Tokaido, la strada imperiale che attraversa tutto il Giappone, che ora il Governo fa fabbricare all’europea da ambo le parti, per tutta la lunghezza che attraversa Jeddo. Vediamo la collina dov’era la residenza del Taicoun, o meglio la sua fortezza a quattro ordini di mura e tutte ciclopiche. Vediamo infine, e questo non lontano, ma accanto a noi, le più belle muamè (ragazze) di Jeddo che a gara vengono a servirci il the e l’acqua gelata.
Conduciamo invece il Principe a vedere uno stabilimento di bagni. È una cosa molto curiosa e che merita d’essere vista quantunque contrasti un poco con i costumi europei. Il bagno consiste in una vasta sala ove vi è un piede d’acqua. Ciascuno poi ha due secchie d’acqua calda e fredda per proprio uso. Gl’inservienti dello stabilimento girano a riempir le secchie. I bagnanti son frammischiati fra loro senza distinzione di età e di sesso, e di già fanno le meraviglie come ciò possa parerci a noi strano
Finita la rivista si va all’antico palazzo del Taicou, ed ove aveva residenza il Mikado, prima che bruciassero i suoi appartamenti. Questa residenza è una vera fortezza, ha dieci chilometri di circonferenza. È circondata da un largo fosso, ove crescono a meraviglia nell’acqua stagnante il Loto, pianta sacra. Vi sono quindi quattro cinte di mura e tutte ciclopiche, formate da pietre squadrate e pietre enormi. Ogni ordine si eleva sopra il successivo perché il palazzo e in collina. L’ultimo ordine si innalza da un fosso immenso e direi perfino smisurato come ordine di fortificazione.
L’insieme di questa residenza lungi dal riuscir spiacevole come può sembrare a prima vista, è quanto abbia visto di più pittoresco al Giappone. La fortificazione è abilmente mascherata da una rigogliosa vegetazione, ed il più incantevole giardino è rinchiuso in quelle titaniche mura. Gli spalti sono ricoperti di fiori, di cespugli da giardino, l’interno è un magnifico parco dagli alberi secolari. Nel mezzo vi sono prati verdissimi, viali, stradicciuole in mille sensi, pare di essere in campagna e non in una fortezza. Nella fossa più centrale vi è sempre gran quantità di caccia, nella stagione invernale. Abbiamo traversato questo canale sopra un magnifico ponte di ferro sospeso.
Nell’interno vi è un’infinità di quei punti di vista nello stabilire i quali i Chinesi han tanta abilità. Si trovano grotte, piccole cascate, laghetti, infine quanto può idearsi in un giardino e tutto questo è sull’alto e domina la città. La sua costruzione data da molti secoli, poche persone erano finora penetrate in questo recinto.
Nell’ambito delle molteplici iniziative della lodevolissima Associazione culturale Amici di Bene, sabato 27 ottobre, in occasione del 330° anniversario del consegnamento dello stemma della Città di Bene, molti soci VIVANT sono stati invitati a disquisire su questioni storico-araldiche.
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