Bubi, don Alberto Notarbartolo di Villarosa principe di Furnari non c’è più

Bubi non c’è più. In gennaio, nella notte tra sabato 1 e domenica 2 di questo nuovo, faticoso anno, si è spento, nella clinica Fornaca di Torino, dove era stato ricoverato d’urgenza.


 

Gli avevo parlato una settimana prima, con l’impegno che presto, non appena fosse stato un po’ meglio, sarei andato a trovarlo. Gli avevo parlato il mattino stesso del suo ricovero, combinando con lui, faticosamente, di vederlo all’indomani. Ma le sue condizioni peggiorarono rendendo inevitabile il ricovero. Così, causa Covid non l’ho più visto.

Ho perso un amico. Un amico a cui ero molto legato, nonostante la nostra differenza d’età. Un amico che avevo da tempo al mio fianco, prima, e per diversi anni, nell’azienda metalmeccanica e poi come Presidente entusiasta e fattivo nell’avventura del Libro d’Oro, di cui era socio fondatore.

Calmo, riflessivo, era sempre in grado di frenare un po’ le mi follie, era sempre capace della visione giusta delle cose, di fare da ago della bilancia tra la saggia prudenza di Tomaso e la mia esagerata voglia di fare.

La sua grande umanità era una risorsa per tutti, sapeva calmare gli animi, dare fiducia, incoraggiare, frenare…umanità che la gente percepiva. Basti pensare con quale facilità riusciva a coinvolgere gli amici altolocati ed i più bei nomi dell’aristocrazia italiana nelle iniziative della Libro d’Oro, dal volume sulla Residenze della Nobiltà Italiana alla decisione di portare i soci – un’altra follia – a più di cento persone. Ma, soprattutto, la sua umanità era percepita dalle persone di tutti i giorni, dall’amico questurino all’uomo tuttofare che lo aiutava in alcune incombenza, dalla nostra donna delle pulizie che, quando lui veniva a casa, si faceva un dovere di salutare … e lei si scioglieva.

Ma, ogni tanto, il suo appartenere ad una delle più grandi famiglie feudali della Sicilia, il suo sangue siciliano, come lui amava ricordare, prendevano il sopravvento ed allora era lui che voleva far sentire alta la protesta a fronte di un qualche comportamento scorretto, era lui che sollecitava i nostri avvocati a denunciare illeciti, era lui che andava su tutte le furie nei confronti delle improbabili cause che venivano promosse contro la società ed i suoi amministratori.

Ci vedevamo molto spesso. Quando ancora stava bene e guidava, un paio di volte alla settimana veniva a prendere il caffè da me; si parlava della vita del Club, della Delegazione piemontese dell’Ordine di Malta al quale lui orgogliosamente apparteneva, si parlava di tutto un po’. Mi raccontava dei figli, ed allora tutto il suo amore di padre orgoglioso trapelava; mi raccontava, con il suo sottile umorismo, di incredibili ed esilaranti pranzi al Club; mi raccontava della Firenze in cui aveva vissuto per alcuni anni con la giovane sposa Ilaria e di personaggi fiorentini anche un po’ miei parenti, di Umberto Agnelli con cui giocava da piccolo. E c’erano i ricordi di Stresa, con la sua Mamma, c’era la sua grande amicizia per Carlo Villarosa, un po’ il decano della famiglia a cui era molto legato e che spesso sentiva, anche se un oceano li divideva dalla lontana San Paolo.

Quando Ilaria lo lasciava solo per i suoi viaggi in Argentina a volte veniva a colazione da noi, sia Torino sia a Villar Dora, e per lui non mancava mail il “finto pesce” a base di tonno e patate; e anche le mie figlie gli volevano bene, “il Principone”, un po’ amico e un po’ nonno, la cui presenza era stata fortemente voluta ai loro matrimoni: e lui, quantunque tendenzialmente orso, era sempre venuto.

Ne abbiamo fatte di cose insieme. Viaggi, allora per lavoro, a Nardò in Puglia, a Stresa, dove il ricordo di sua Madre, che per tanti anni vi aveva vissuto, lo riportava ad essere un po’ il Principe, anche nei confronti del Sindaco. Fugaci e amichevoli colazioni a Cherasco, ospiti di Umberto Fracassi.

Almeno una volta al mese ci si trovava in casa sua per il Consiglio di Amministrazione della Libro d’Oro: era più un ritrovarsi tra amici, gratificati dalle pizzette calde e dal bicchiere dii vino che non mancavano mai. Certo, si discuteva, si prendevano decisioni, si esaminavano proposte, si definivano linee d’azione: ma non mancava mai la gioia di stare insieme, l’armonia, l’unisono nelle decisioni.

Ma era anche un raccontarci le vicende di famiglia, i progetti dei figli e sui figli, le speranze. E quando Bubi ripercorreva con noi la sua vita in Argentina, i gauchos, l’amata casa, il “Trili”, dal grande parco che la circondava, immersa nelle terre e nelle vacche, lo si sentiva tornare agli anni passati, a quando i figli – gli adorati figli Giovanni, Monica ed Irene per i quali stravedeva – erano piccoli, alle loro gesta, al loro crescere, con lo stesso amore che, negli anni più recenti, dedicava alle nipoti, Vittoria, Barbara, Alessandra e Sofia, la nipote in Argentina.

Bubi non c’è più. A noi resta il ricordo di un grande amico, alla famiglia il conforto di sapere di essergli sempre stati vicino: la famiglia era tutto per lui. E lui era tutto per la famiglia.

Fabrizio Antonielli d’Oulx

Il funerale si celebra martedì 4 gennaio alle ore 10.00 nella chiesa della Crocetta di Torino

Convegno nazionale di studi Nomen Omen: Profili del diritto al nome

Una bottiglia di vino con uno stemma si vende meglio; una villa con un nome celebre attira di più.

Si può allora vendere una villa ed autorizzarne l’uso del proprio nome?

Anche contro la volontà dei parenti? Chi può disporre dell’uso di uno stemma antico? Esso segue l’azienda o segue la famiglia?

Bastano pochi esempi per confermare che ogni analisi economica presuppone un approfondimento giuridico; ma ci avviciniamo ad un periodo in cui un valore economico è riconosciuto a diritti personalissimi, come il nome, l’immagine, l’identità personale, proprio per dar loro valore.

Il convengo ambisce allora dipanare i nodi giuridici tra nome e insegna, nome e azienda, nome e ditta, nome e beni immobili o mobili, alla luce del nuovo quadro della disciplina d’anagrafe, del diritto di famiglia, della tutela del consumatore, della riservatezza, indagando altresì gli orientamenti delle supreme Corti nazionali ed europee nel bilanciare le opposte esigenze.

Fra tutto questo si fa strada un concetto ormai ricorrente, ma ancora da definire: l’Identità.

Venezia, Università Ca’ Foscari, Aula Magna di Ca’ Dolfin, venerdì 8 ottobre 2021, h. 15-19

Programma W.E.

Venezia, Circolo dell’Unione, venerdì 8 ottobre 2021, h. 20: pranzo.

Venezia, Biblioteca Marciana, sabato 9 ottobre 2021, h. 10: visita guidata da Marino Zorzi, già direttore della Biblioteca, discendente del 50° Doge di Venezia.

Venezia, Palazzo Ducale, sabato 9 ottobre 2021, h. 15: visita guidata da Antonio Foscari, già professore all’Istituto Universitario di Architettura, discendente del 65° Doge di Venezia.

Piazzola Sul Brenta, Villa Contarini, domenica 10 ottobre 2021, h. 11: assemblea ANRV.

Piazzola Sul Brenta, Villa Contarini, domenica 10 ottobre 2021, h. 12: visita guidata alla villa

Piazzola Sul Brenta, Villa Contarini, domenica 10 ottobre 2021, h. 13,30: colazione in villa.

Piazzola Sul Brenta, Villa Contarini, domenica 10 ottobre 2021, h. 15: Convegno su “I Contarini”.

SAVE THE DATE!

Una regale bomboniera

Qualche mese fa m’è stata donata una bomboniera di battesimo fuori ordinanza, quella qui riprodotta:

E’ costituita da un foglio di carta-seta, argentata, notevolmente brunito dal tempo, che è stato ripiegato sino a trasformarlo in una busta, larga cm. 11,02 e alta cm. 7,04. Sulla faccia anteriore, la fotografia ovale di un bel bambino, che sprizza salute. Il bordo, incorniciato da occhielli di filo di seta, è circondato da decori in ‘argento messicano’ ed il tutto viene a poggiare su altro ovale, di misura maggiore, in raso bianco plissé.

Sormonta la fotografia una corona reale, da cui muovono due infulae, proprie, in verità, dell’araldica ecclesiastica (triregno e mitre episcopali) e delle mitre imperiali. Su ognuna di esse si legge il motto FERT. A ognuno dei lati, una decorazione floreale tipicamente liberty, mentre in basso, su uno scudo a testa di cavallo, l’arma, che i tratteggi individuano, ove fosse necessario: Di rosso, alla croce d’argento. Da due fori, presenti nei due cantoni del capo, fuorescono le estremità superiori di due rami d’alloro, passati in croce di Sant’Andrea. Sul verso, gli angoli che compongono la busta recano un sigillo cartaceo rotondo, che altro non è che il marchio di un celebre punto di eccellenza torinese: Moriondo e Gariglio – Torino.

All’interno (dei confetti non è, evidentemente, traccia) si legge, scritto con inchiostro nero: Battesimo di S.A.R. il Principe ereditario d’Italia Umberto Nicola Tomaso di Savoia – Roma 4. Novembre 1904. Consegnatomi a Crema dal Conte Premoli, gentiluomo d’onore di S. M. il Re Vittorio Em. le III°. Il destinatario dell’oggetto era l’esponente di una antica famiglia marchionale emiliana, al tempo prefetto del regno, mentre il consegnante era il conte Giuseppe Premoli, da Crema, mastro delle cerimonie di corte, a disposizione del re.

Con ogni probabilità si sarà trattato di una bomboniera destinata a categorie di rango minore, mentre altre, più preziose e raffinate, saranno state riservate a personaggi di sangue reale, padrini e madrine, cavalieri dell’Ordine della SS. Annunziata e via di questo passo.

L’ultimo re d’Italia nacque il 15 settembre 1904, alle ore 23:30, nel castello reale di Racconigi. L’antica fortezza era appartenuta all’origine ad Adelaide di Susa, dalla quale passò ai del Vasto e, quindi, ai marchesi di Saluzzo, che la trasformarono in castello. I Savoia di Racconigi, ramo illegittimo dei principi di Acaja, lo possedettero sino alla loro estinzione, avvenuta nel 1605, data in cui entrò a far parte dei dominî ducali. Carlo Emanuele I lo donò nel 1620 al figlio Tommaso Francesco, che fu il capostipite dei principi di Carignano. Nella seconda metà del Seicento il grande architetto romano Guarino Guarini, assieme al celebre architetto di giardini, André Le Nôtre, lo trasformò in una splendida Villa di Delizie. Rimaneggiato in chiave neoclassica dal Borra, subì ulteriori mutamenti, sicuramente inquietanti sotto il profilo estetico, per volontà di Carlo Alberto.

La regina Elena l’aveva scelto a rifugio dalla calura estiva e fu lì, durante un furioso temporale che, provocando il black-out dell’energia elettrica, aveva costretto la corte al ricorso ai lumi a petrolio e alle candele, che il ginecologo della regina, il dottor Ottavio Morisani, annunciò al sovrano la nascita di un figlio maschio, dell’erede al trono, un bambino del peso di 4 chili e 550 grammi. La camera da letto in cui nacque (ancora esistente) era semplicemente arredata, con un mobilio che si ispirava a quello del panfilo sul quale Vittorio Emanuele ed Elena, prima dell’assassinio di re Umberto I, amavano solcare i mari. La stessa usata da Umberto e Maria José sposi novelli, che ebbero il castello in dono nuziale da Vittorio Emanuele III.

L’evento rivestiva grande importanza. Il matrimonio di Vittorio Emanuele, al tempo principe di Napoli, con Elena del Montenegro risaliva, infatti, al 24 ottobre 1896 e la prima figlia, Jolanda, era nata a quasi cinque anni di distanza, il 1° giugno 1901, seguita dalla secondogenita, Mafalda, il 19 novembre 1902.

Per quattro anni, dunque, l’erede presuntivo al trono italiana era stato Amedeo, duca delle Puglie, nato a Torino il 28 ottobre da Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, marito di un’altra Elena, questa volta appartenente all’empireo della regalità, in quanto figlia di Luigi-Filippo de Bourbon Orléans, conte di Parigi, alla morte del conte di Chambord divenuto capo della casa reale di Francia, e di sua cugina Isabella d’Orléans, infanta di Spagna. Elena d’Aosta (che amava firmarsi sovente ‘de France’) era stata prossima al fidanzamento ufficiale con il figlio primogenito di Edoardo VII, al tempo ancora principe di Galles, Alberto, ottenendo il consenso della regina Vittoria a condizione, però, che si convertisse alla religione anglicana, ma il conte di Parigi s’irrigidì e negò il proprio, dicendo che una discendente di San Luigi non poteva che essere cattolica per tutta la sua vita. Il secondo maschio della coppia Aosta, Aimone (il futuro re di Croazia, padre del vivente Amedeo, duca d’Aosta), non tardò a giungere nel 1900.

La nascita di Umberto dette luogo a un frenetico incrociarsi di telegrammi di partecipazione e di rallegramenti. Il primo fu quello inviato dal sovrano alla regina-madre, Margherita, allora soggiornante nella palazzina reale di caccia di Stupinigi: Mamma, abbiamo avuto un figlio. Lo chiameremo Umberto. Commossa (forse anche perché alla nipote primogenita il suo nome era stato dato soltanto come secondo), la regina Margherita si precipitò in piena notte a Racconigi, dove – a quanto sembra – convinse il figlio a rinunciare al progetto di conferire al neonato il titolo di principe di Roma, ma quello tradizionale di principe di Piemonte, che ormai si alternava a quello di principe di Napoli, al fine di non irritare il Pontefice, al quale occorreva ricorrere per ottenere una grazia particolare: quella del doppio battesimo. Infatti, il sacramento del battesimo, per concessione di Pio X, fu impartito ben due volte al reale neonato.

Il primo, in forma intima e dimessa (probabilmente voluto per il timore della diffusa mortalità infantile) ebbe luogo nella cappella del castello di Racconigi, la sera del giorno successivo alla nascita di Umberto, mentre il sindaco di Racconigi, l’on. Carlo Ceriana-Majneri, dava il via a manifestazioni di giubilo, che, diffusasi la notizia, spontaneamente sorgevano in tutta Italia. Il sacramento, mediante aspersione dell’acqua lustrale, fu somministrato da monsignor Biagio Balladore, cappellano di corte, mentre veniva rinviato a data successiva la cerimonia solenne, da tenersi a Roma, con tanto di formule esorcistiche e di cero.

Nella prima mattinata del 20 settembre raggiungeva Racconigi un treno speciale, ospitante il summit politico italiano, tra i quali spiccavano il presidente del consiglio dei ministri, Giovanni Giolitti, il presidente del senato, Giuseppe Saracco, il presidente della camera, Giuseppe Biancheri e l’ex-cavurriano Costantino Nigra (grande diplomatico, di raffinata cultura, ma di modeste origini, che, quando, nel 1882, gli fu conferito il titolo comitale, un malevolo della nobiltà nera lo gratificò di quello di ‘contesso di Castiglione’, in memoria del presunto suo intrigo amoroso con l’imperatrice Eugenia). Gli ultimi tre erano già cavalieri dell’Ordine dell’Annunziata, mentre ‘Palamidone’ lo diverrà proprio in questa circostanza, quando, al termine della cerimonia, Vittorio Emanuele gli consegnò un elegante astuccio, che conteneva le insegne.

La ragione della visita di questi personaggi era la rogazione e la sottoscrizione dell’atto di nascita. Furono ricevuti alla stazione dal marchese Giovan Battista Borea d’Olmo, mastro di cerimonie, che, sulle carrozze di corte, li condusse al castello, dove li attendevano il prefetto di palazzo, conte Cesare Federico Gianotti, il ministro della R. Casa, generale Ponzio Vaglia, il conte Romualdo Trigona dei principi di Sant’Elia, gentiluomo di corte, il grande scudiere, marchese Pierfrancesco Corsini, il gran cacciatore, conte Giulio Carminati di Brambilla, il barone Antonio Manno e tutta una serie di figure minori.

Presentato il reale infante dal Re, si dette lettura dell’atto di nascita di S.A.R. il Principe Umberto, Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria di Savoia, Principe di Piemonte, figlio delle Loro Maestà il Re e la Regina d’Italia: L’anno 1904, addì 20 del mese di settembre, alle ore 11, nella sala reale del Castello di Racconigi, dinanzi a me, Giuseppe Saracco, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, quale Presidente del Senato del Regno, ufficiale dello stato civile della Reale Famiglia, assistito da S. E. l’avvocato Giovanni Giolitti, Grande Croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, nella qualità di ministro segretario di Stato per l’interno, notaio della Corona, è comparso personalmente S. M. Vittorio Emanuele III, Ferdinando, Maria, Gennaro di Savoia, Re d’Italia, di anni 34, domiciliato in Roma, il quale mi ha dichiarato che alle ore 23 e minuti 30 del 15 corrente mese, in questo Reale Castello è nato da S. M. Elena Nicolajewna, nata Petrovich de Niegosch dei Principi di Montenegro, Regina d’Italia, sua consorte secolui convivente, è nato un bambino di sesso mascolino, che la prefata S. M. del Re mi presenta e a cui dà i nomi di Umberto, Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria col titolo di Principe di Piemonte.

A quanto sopra e a questo atto sono stati presenti, quali testimoni designati da S. M. il Re, S. E. il conte Costantino Nigra, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, ambasciatore a riposo, senatore del Regno, di anni 76, e S. E. Giuseppe Biancheri, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, presidente della Camera dei deputati, di anni 82, entrambi per questo atto, residenti a Racconigi.

Di tutto quanto sopra ho fatto compilare dal comm. avv. Federico Pozzi, direttore della Segreteria del Senato, Cancelliere assunto per gli atti civili della Reale Famiglia, il presente atto, scritto in due originali, da conservarsi uno negli Archivi del Senato e l’altro negli Archivi generali del regno.

Datone lettura agli interessati, lo hanno questi meco sottoscritto in ambedue gli originali.
Seguirono le firme: Vittorio Emanuele, Costantino Nigra, Giuseppe Biancheri, Giuseppe Saracco, Giovanni Giolitti.

Il reale infante, quasi sommerso dal mare di trine del porte-enfant, durante tutta la cerimonia, era sorretto dalle tornite braccia della dama d’onore della regina, Giulia Trigona di Sant’Elia, moglie del predetto conte Romualdo, in abito crème, guarnito di pagliuzze d’argento e lungo strascico. Chi avrebbe mai potuto immaginare che, poco più di cinque anni più tardi, la bella dama sarebbe andata incontro a un tragico, scandaloso destino.

Mentre dagli spalti della fortezza romana di Monte Mario tuonavano le 101 protocollari salve di artiglieria, dando l’avvio alle batterie di tutti i grandi centri della penisola, Vittorio Emanuele, a tangibile testimonianza della propria gioia paterna, elargiva la cospicua somma di un milone di lire alla cassa nazionale della vecchiaia per gli operai.

Il 29 settembre veniva reso ufficiale il motu proprio di conferimento del titolo di Principe di Piemonte, pubblicato con il R. D. del successivo 19 ottobre.

Il secondo battesimo si svolse il 4 novembre. La famiglia reale avrebbe voluto che avesse luogo in una basilica, officiato da un porporato, ma Pio X non ne volle sapere e vietò a tutti i membri della corte pontificia di prendere parte. Ma l’intermediario, don Ferrarini, recò ugualmente una buona notizia, che non poteva che interpretarsi come segno di distensione dei rapporti tra il Vaticano e il regno d’Italia: il Papa consentiva a che il rito avesse luogo nella cappella Paolina del Quirinale, che era stata sconsacrata il 20 settembre 1870, all’atto della occupazione della sede pontificia da parte delle truppe italiane, seguita dal suo ‘esproprio’ a uso di reggia.

L’officiante fu questa volta monsignor Giuseppe Beccaria, cappellano maggiore di S. M. il re d’Italia, assistito dal suo ‘predecessore’ monsignor Balladore e da uno stuolo di prelati disponibili.

I padrini di battesimo dell’erede al trono furono il Kaiser Guglielmo II e il re d’Inghilterra, Edoardo VII, rispettivamente zio e nipote, in quanto il primo nasceva da una figlia della regina Vittoria, che era sorella del secondo. Non furono personalmente presenti, non si sa bene se per particolari criticità politiche del momento (imperatore di Germania voleva dire Triplice Alleanza, di cui l’Italia faceva parte, ma non di rado occhieggiando alla Intesa Cordiale, impersonata dal Re di gran Bretagna), oppure perché luterano l’Hohenzollern e capo della chiesa anglicana il secondo. Ma a rappresentarli essi avevano entrambi designato un loro fratello, per cui mandarono al Quirinale il principe Enrico di Prussia e il duca di Connaught, Arturo di Saxe-Coburg-Gotha.

C’era anche il duca di Oporto per gli sventurati Braganza, nonché il fior fiore dell’aristocrazia europea. La cerimonia fu di alto livello, nella cornice splendida della cappella Paolina, e il banchetto che seguì nel salone d’onore, all’altezza delle tradizioni di casa Savoia e della migliore gastronomia franco-italiana.

La nascita dell’erede di Vittorio Emanuele III sembrava assicurare all’istituzione monarchica del Paese ben più lunga vita di quella che il fato le riservò.

Angelo Scordo
L’articolo si è avvalso, oltre che di numerose pubblicazioni periodiche del tempo (quali, a esempio, La illustrazione italiana), in particolare del primo numero del rinato (dopo tre anni di silenzio) Calendario d’Oro, anno XVI, ottobre 1904, Roma.