La Camera dei Lords: ieri, oggi, domani…

LIBERAMENTE TRATTO DAGLI APPUNTI DI ANDREW MARTIN GARVEY

Quando i Laburisti vinsero le elezioni dicevano di voler togliere ai Pari del Regno il diritto di sedere e votare nella Camera dei Lords, primo passo per creare una Camera dei Lords più democratica e rappresentativa. Il Governo per ora non ha dato una scadenza fissa per le riforme e Sua Maestà la Regina non ha fatto menzione nel Suo discorso dal Trono nel novembre scorso, discorso per altro scritto dal Primo Ministro.

Che cosa c’è nel futuro per i Lords?
Il Comitato per il Programma per la Riforma Costituzionale (Camera dei Lords), presieduto da Lord Irvine, il Lord Chancellor, dovrà decidere se la nuovo Camera sarà formata da membri eletti o nominati o da un mix di entrambi.

Molti Britannici si chiedono se il Regno Unito possa permettersi una Camera dei Lords riformata: attualmente, infatti, i Pari non percepiscono uno stipendio, ma soltanto un rimborso spese per quando sono presente nella Camera con limiti di circa £100 per diem, e chiunque sia stato a Londra saprà che una diaria di 300,000 lire circa non concede molto. Politici a tempo pieno dovrebbero avere uno stipendio adeguato come i loro simili nella Camera dei Comuni che percepiscono circa sei milioni al mese netti. I Pari hanno diritto ad alcuni servizi di segreteria e di cancelleria e l’uso di telefoni gratis, ma solo chi ha un ruolo attivo dispone di una linea privata. I Pari non hanno la posta senza pagamento.

La Camera dei Lords è da sempre vista come una roccaforte delle forze dell’Establishment, ossia del partito Conservatore. Nonostante le promesse Laburiste, io personalmente vedo la riforma come un passo pericoloso verso una costosa democratizzazione: tra poco avremo una classe di politici professionisti prive di esperienze del mondo reale, senza coloro che hanno per così tanto tempo portato le varie esperienze di vari campi della vita nazionale, quello militare, degli affari, del mondo accademico, quello medico ecc.…. Ora vi è nel Lords una istituzione che ha servito così a lungo gli ninteressi della Nazione e dell’Impero britannico, anziché gli interessi personali o quelli di vari gruppi d’interesse o lobbies, servendo come modello per tanti altri nazioni nel mondo.

La Camera dei Lords, non dobbiamo dimenticare, è il luogo dove i Pari del Regno pagano per i propri privilegi con il servizio. La Camera dei Lords è la Camera Alta del Parlamento Britannico. I membri non sono eletti (in questo niente di strano, anche in altri senati vi sono dei membri a vita non eletti) e con l’eccezione dei vescovi che lasciano il loro seggio quando raggiungono l’età pensionabile, sono membri per tutta la vita.
I membri del Lords sono i Pari del Regno e sono divisibili in due gruppi: i Pari o Lords Spirituali (cioè i due arcivescovi, di Canterbury e di York, il primo primate di tutta l’;Inghilterra il secondo il
primate d’Inghilterra ed i vescovi anziani) ed i Lords Temporali. Si può fare una suddivisione di quest’ultimo gruppo: i Pari ereditari e quelli a vita, cioè che non trasmettono il titolo (anche se i figli godono di un titolo e il trattamento di figli di un Pari). Poi vi sono i Law Lords (i giudici) che fanno parte del gruppo dei Pari a vita. I Membri del House of Lords in origine furono membri di vari gruppi della nobiltà che avevano il compito di consigliare il sovrano, cioè i membri della curia regis.

Durante gli ultimi secoli vi sono stati delle aggiunte. Con le varie unioni con l’Inghilterra sono arrivati anche rappresentati le altre nazioni facenti parte dell’Unione, la Scozia e l’Irlanda. Non tutti gli scozzesi titolati però sono membri del Lords. Solamente i Lords del parlamento sono membri, non i baroni o conti feudali. Molti titoli sono ancora ereditari ma vi è una percentuale sempre crescente di Pari a vita e da molto tempo non si creano più titoli ereditari che danno il privilegio di un seggio nel Lords, anche se vi sono ancora altri titoli ereditari come ad esempio quello di baronetto. I più recenti casi sono quelli dei visconti Whitelaw (già deputato Conservatore, poi ucciso dall’IRA) ed il già Speaker della Camera dei Comuni, George Thomas, (entrambi non avevano eredi), poi vi è il conte MacMillan, già primo ministro negli anni sessanta che invece aveva un erede il quale oggigiorno ha un seggio nel Lords.

Fino alla Riforma nel 16° secolo, la maggioranza dei Lords furono quelli Spirituali ed oltre agli arcivescovi e vescovi includevano anche gli abati mitrati. Con lo scioglimento dei monasteri non vi furono più abati e fu messo un limite al numero dei vescovi. Ed ora il numero è fissato in un massimo di 26 di questo gruppo di prelati. Sono membri permanenti, oltre i due primati, i vescovi di Durham, London e Winchester, e per ordine di anzianità altri 21 vescovi della chiesa anglicana. I vescovi di altre denominazioni religiose non hanno diritto a sedersi nei Lords.

Fino al 1958, i Lords Temporali furono o Pari ereditari (coloro che ebbero il titolo per eredità e diviso in sei ranghi: Principi di sangue reale, Duchi [Reali e non], Marchesi, Conti, Visconti e Baroni) ed i cosiddetti Law Lords, i più anziani giudici della corte d’Appello che hanno un seggio nel Lords con il rango di barone, (nominati a vita per espletare quei compiti giudiziali della camera). Nel 1958, però, è passata la legge riguardante le Pari a vita, il Life Peerages Act, che diede alla Regina la possibilità di creare titoli non ereditari sia per gli uomini sia per le donne. Ora questa prerogativa viene esercitato su consiglio del Primo Ministro.

Il numero dei Pari ha avuto un aumento con le unioni della Scozia e dell’Irlanda all’Inghilterra avvenute nel 17° e 18° secoli. All’inizio del 1999, la Camera dei Lords è composto da 759 Pari ereditari, 510 a vita (dei quali 90 sono donne e 26 Arcivescovi e Vescovi). È bene precisare che non tutti i Lords nel Regno Unito sono membri del Parlamento. Sono esclusi i Lords per cortesia ossia i figli dei titolari o capi famiglia, non sono inclusi i Lords per carica, come ad esempio il Primo Lord del Tesoro (che è il Primo Ministro) Lords dell’Ammiragliato o i Lords Lieutenant delle Contee e ovviamente sono esclusi anche quei Lords del maniero, i baroni e conti feudali.

Inoltre, per svariati motivi, circa un terzo dei Pari non frequentano la camera. In media vi sono circa 380 Pari presenti, in maggioranza i Pari a vita. Il Lord cancelliere si siede sopra una sedia detto il sacco di lana "Woolsack". Introdotto dal Re Edoardo II (1327-77), il Woolsack è imbottito con lana come ricordo della ricchezza che il commercio della lana diede all’Inghilterra. Ora è imbottito di lana proveniente da nazioni del Commonwealth, come simbolo di unità. La Camera dei Lords, attraverso il suo Comitato d’Appello, funziona come ultimo corte di appello. Per casi civili nel Regno Unito e casi criminali in Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord. Solamente i Lords d’Appello prendono parte nelle procedure giudiziali. Vi sono 12 giudici a tempo pieno. In linea di massima le funzioni della Camera dei Lords sono simili a quelli dei Comuni per quanto riguarda legislazione, dibattiti e domande all’esecutivo. Vi sono due importanti eccezioni: i membri dei Lords non sono rappresentativi di circoscrizioni e non sono coinvolti in questioni finanziarie o riguardanti le imposte. Il ruolo dei Lords è complementare a quello dei comuni e funziona come una entità di revisione di molte proposte di legge (detto “Bills”) importanti o controverse. Nella Camera dei Lords i membri votano seconda la propria coscienza. Aggiungo anche che è più facile seguire la propria coscienza non avendo un elettorato a cui rispondere, quindi si può dare ciò che una nazione ha bisogno non quello che necessariamente vuole.

Vediamo ora il primo articolo, il più importante, della proposta di legge House of Lords Bill che fu introdotta nella Camera dei Comuni il 19 gennaio di quest’anno, con l’obbiettivo di eliminare il diritto dei Pari ereditari di sedere nella Camera dei Lords. Il primo articolo recita che nessuno potrà essere un membro dei Lords in virtù della sua Paria ereditaria.
Detto esclusione si applica anche ai Membri della Famiglia Reale che hanno il diritto di far parte del Lords (il Principe di Galles, il Duca di Edimburgo, il Duca di York, il Duca di Gloucester ed il Duca di Kent; la Regina non fa parte del Lords quindi non viene inclusa; In fine, quindi, da questi commenti si capisce quanto sarà completo l’eliminazione dalla vita parlamentare la presenza dei Pari ereditari. Mi auguro che il mio intervento abbia dato delle informazioni utili per una maggior comprensione a ciò che concerne la riforma del House of Lords.

BREVE STORIA DELLA CAMERA DEI LORDS
– 14° sec Camera separata, con membri spirituali e temporali, dai Comuni
– 15° sec Pari introdotti, 5 ranghi Duca, Marchese, Conte, Visconte e Barone
– 18° sec Atti delle Unione con la Scozia/Irlanda rappresentanti eletti
– 1834 Incendio
– 1847 Apertura della nuova Camera
– 1876 Atto della giurisdizione d’Appello crea i Pari d’Appello in ordinaria (i cosi detti Law Lords), ultimo tribunale d’Appello
– 1911/1949 Atti Parlamentari, alcuni proposte diventano leggi senza il cosesso dei Lords che possono limitare il potere di ritardare li proposte ad un massimo di un anno, ciò in seguito ai problemi connessi con le leggi finanziarie
– 1958 Atto riguardante le Pari a vita – Baronie a vita, sia uomini sia donne nel House of Lords
– 1963 Atto riguardante la Paria, rinnegare i titolo – Tutti i Pari Scozzesi nei Lords Peerage Act Disclaim peerages –e le nobil donne che godono di una Paria ereditaria personale.
– 1997 Il Programma del partito laburista che include l’intenzione di abolire i seggi ereditari nella Camera dei Lords
– 1998 Proposta di Legge di abolire il diritto dei Pari ereditari di avere un seggio nella Camera dei Lords.

COMPOZIONE DELLA CAMERA DEI LORDS
(secondo il tipo di Paria al 4 gennaio, 1999)
Principe (di sangue reale) 1
Arcivescovi 2
Duchi + Duchi di sangue reale 25+3
Marchesi 34
Conti + Contesse 169+5
Visconti 103
Vescovi 24

Baroni/Sig.ri (Lords) di Parlamento 831
Baronesse + Sig.re (Ladies) di Parlamento +95+3

Una regale bomboniera

Qualche mese fa m’è stata donata una bomboniera di battesimo fuori ordinanza, quella qui riprodotta:

E’ costituita da un foglio di carta-seta, argentata, notevolmente brunito dal tempo, che è stato ripiegato sino a trasformarlo in una busta, larga cm. 11,02 e alta cm. 7,04. Sulla faccia anteriore, la fotografia ovale di un bel bambino, che sprizza salute. Il bordo, incorniciato da occhielli di filo di seta, è circondato da decori in ‘argento messicano’ ed il tutto viene a poggiare su altro ovale, di misura maggiore, in raso bianco plissé.

Sormonta la fotografia una corona reale, da cui muovono due infulae, proprie, in verità, dell’araldica ecclesiastica (triregno e mitre episcopali) e delle mitre imperiali. Su ognuna di esse si legge il motto FERT. A ognuno dei lati, una decorazione floreale tipicamente liberty, mentre in basso, su uno scudo a testa di cavallo, l’arma, che i tratteggi individuano, ove fosse necessario: Di rosso, alla croce d’argento. Da due fori, presenti nei due cantoni del capo, fuorescono le estremità superiori di due rami d’alloro, passati in croce di Sant’Andrea. Sul verso, gli angoli che compongono la busta recano un sigillo cartaceo rotondo, che altro non è che il marchio di un celebre punto di eccellenza torinese: Moriondo e Gariglio – Torino.

All’interno (dei confetti non è, evidentemente, traccia) si legge, scritto con inchiostro nero: Battesimo di S.A.R. il Principe ereditario d’Italia Umberto Nicola Tomaso di Savoia – Roma 4. Novembre 1904. Consegnatomi a Crema dal Conte Premoli, gentiluomo d’onore di S. M. il Re Vittorio Em. le III°. Il destinatario dell’oggetto era l’esponente di una antica famiglia marchionale emiliana, al tempo prefetto del regno, mentre il consegnante era il conte Giuseppe Premoli, da Crema, mastro delle cerimonie di corte, a disposizione del re.

Con ogni probabilità si sarà trattato di una bomboniera destinata a categorie di rango minore, mentre altre, più preziose e raffinate, saranno state riservate a personaggi di sangue reale, padrini e madrine, cavalieri dell’Ordine della SS. Annunziata e via di questo passo.

L’ultimo re d’Italia nacque il 15 settembre 1904, alle ore 23:30, nel castello reale di Racconigi. L’antica fortezza era appartenuta all’origine ad Adelaide di Susa, dalla quale passò ai del Vasto e, quindi, ai marchesi di Saluzzo, che la trasformarono in castello. I Savoia di Racconigi, ramo illegittimo dei principi di Acaja, lo possedettero sino alla loro estinzione, avvenuta nel 1605, data in cui entrò a far parte dei dominî ducali. Carlo Emanuele I lo donò nel 1620 al figlio Tommaso Francesco, che fu il capostipite dei principi di Carignano. Nella seconda metà del Seicento il grande architetto romano Guarino Guarini, assieme al celebre architetto di giardini, André Le Nôtre, lo trasformò in una splendida Villa di Delizie. Rimaneggiato in chiave neoclassica dal Borra, subì ulteriori mutamenti, sicuramente inquietanti sotto il profilo estetico, per volontà di Carlo Alberto.

La regina Elena l’aveva scelto a rifugio dalla calura estiva e fu lì, durante un furioso temporale che, provocando il black-out dell’energia elettrica, aveva costretto la corte al ricorso ai lumi a petrolio e alle candele, che il ginecologo della regina, il dottor Ottavio Morisani, annunciò al sovrano la nascita di un figlio maschio, dell’erede al trono, un bambino del peso di 4 chili e 550 grammi. La camera da letto in cui nacque (ancora esistente) era semplicemente arredata, con un mobilio che si ispirava a quello del panfilo sul quale Vittorio Emanuele ed Elena, prima dell’assassinio di re Umberto I, amavano solcare i mari. La stessa usata da Umberto e Maria José sposi novelli, che ebbero il castello in dono nuziale da Vittorio Emanuele III.

L’evento rivestiva grande importanza. Il matrimonio di Vittorio Emanuele, al tempo principe di Napoli, con Elena del Montenegro risaliva, infatti, al 24 ottobre 1896 e la prima figlia, Jolanda, era nata a quasi cinque anni di distanza, il 1° giugno 1901, seguita dalla secondogenita, Mafalda, il 19 novembre 1902.

Per quattro anni, dunque, l’erede presuntivo al trono italiana era stato Amedeo, duca delle Puglie, nato a Torino il 28 ottobre da Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, marito di un’altra Elena, questa volta appartenente all’empireo della regalità, in quanto figlia di Luigi-Filippo de Bourbon Orléans, conte di Parigi, alla morte del conte di Chambord divenuto capo della casa reale di Francia, e di sua cugina Isabella d’Orléans, infanta di Spagna. Elena d’Aosta (che amava firmarsi sovente ‘de France’) era stata prossima al fidanzamento ufficiale con il figlio primogenito di Edoardo VII, al tempo ancora principe di Galles, Alberto, ottenendo il consenso della regina Vittoria a condizione, però, che si convertisse alla religione anglicana, ma il conte di Parigi s’irrigidì e negò il proprio, dicendo che una discendente di San Luigi non poteva che essere cattolica per tutta la sua vita. Il secondo maschio della coppia Aosta, Aimone (il futuro re di Croazia, padre del vivente Amedeo, duca d’Aosta), non tardò a giungere nel 1900.

La nascita di Umberto dette luogo a un frenetico incrociarsi di telegrammi di partecipazione e di rallegramenti. Il primo fu quello inviato dal sovrano alla regina-madre, Margherita, allora soggiornante nella palazzina reale di caccia di Stupinigi: Mamma, abbiamo avuto un figlio. Lo chiameremo Umberto. Commossa (forse anche perché alla nipote primogenita il suo nome era stato dato soltanto come secondo), la regina Margherita si precipitò in piena notte a Racconigi, dove – a quanto sembra – convinse il figlio a rinunciare al progetto di conferire al neonato il titolo di principe di Roma, ma quello tradizionale di principe di Piemonte, che ormai si alternava a quello di principe di Napoli, al fine di non irritare il Pontefice, al quale occorreva ricorrere per ottenere una grazia particolare: quella del doppio battesimo. Infatti, il sacramento del battesimo, per concessione di Pio X, fu impartito ben due volte al reale neonato.

Il primo, in forma intima e dimessa (probabilmente voluto per il timore della diffusa mortalità infantile) ebbe luogo nella cappella del castello di Racconigi, la sera del giorno successivo alla nascita di Umberto, mentre il sindaco di Racconigi, l’on. Carlo Ceriana-Majneri, dava il via a manifestazioni di giubilo, che, diffusasi la notizia, spontaneamente sorgevano in tutta Italia. Il sacramento, mediante aspersione dell’acqua lustrale, fu somministrato da monsignor Biagio Balladore, cappellano di corte, mentre veniva rinviato a data successiva la cerimonia solenne, da tenersi a Roma, con tanto di formule esorcistiche e di cero.

Nella prima mattinata del 20 settembre raggiungeva Racconigi un treno speciale, ospitante il summit politico italiano, tra i quali spiccavano il presidente del consiglio dei ministri, Giovanni Giolitti, il presidente del senato, Giuseppe Saracco, il presidente della camera, Giuseppe Biancheri e l’ex-cavurriano Costantino Nigra (grande diplomatico, di raffinata cultura, ma di modeste origini, che, quando, nel 1882, gli fu conferito il titolo comitale, un malevolo della nobiltà nera lo gratificò di quello di ‘contesso di Castiglione’, in memoria del presunto suo intrigo amoroso con l’imperatrice Eugenia). Gli ultimi tre erano già cavalieri dell’Ordine dell’Annunziata, mentre ‘Palamidone’ lo diverrà proprio in questa circostanza, quando, al termine della cerimonia, Vittorio Emanuele gli consegnò un elegante astuccio, che conteneva le insegne.

La ragione della visita di questi personaggi era la rogazione e la sottoscrizione dell’atto di nascita. Furono ricevuti alla stazione dal marchese Giovan Battista Borea d’Olmo, mastro di cerimonie, che, sulle carrozze di corte, li condusse al castello, dove li attendevano il prefetto di palazzo, conte Cesare Federico Gianotti, il ministro della R. Casa, generale Ponzio Vaglia, il conte Romualdo Trigona dei principi di Sant’Elia, gentiluomo di corte, il grande scudiere, marchese Pierfrancesco Corsini, il gran cacciatore, conte Giulio Carminati di Brambilla, il barone Antonio Manno e tutta una serie di figure minori.

Presentato il reale infante dal Re, si dette lettura dell’atto di nascita di S.A.R. il Principe Umberto, Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria di Savoia, Principe di Piemonte, figlio delle Loro Maestà il Re e la Regina d’Italia: L’anno 1904, addì 20 del mese di settembre, alle ore 11, nella sala reale del Castello di Racconigi, dinanzi a me, Giuseppe Saracco, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, quale Presidente del Senato del Regno, ufficiale dello stato civile della Reale Famiglia, assistito da S. E. l’avvocato Giovanni Giolitti, Grande Croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, nella qualità di ministro segretario di Stato per l’interno, notaio della Corona, è comparso personalmente S. M. Vittorio Emanuele III, Ferdinando, Maria, Gennaro di Savoia, Re d’Italia, di anni 34, domiciliato in Roma, il quale mi ha dichiarato che alle ore 23 e minuti 30 del 15 corrente mese, in questo Reale Castello è nato da S. M. Elena Nicolajewna, nata Petrovich de Niegosch dei Principi di Montenegro, Regina d’Italia, sua consorte secolui convivente, è nato un bambino di sesso mascolino, che la prefata S. M. del Re mi presenta e a cui dà i nomi di Umberto, Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria col titolo di Principe di Piemonte.

A quanto sopra e a questo atto sono stati presenti, quali testimoni designati da S. M. il Re, S. E. il conte Costantino Nigra, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, ambasciatore a riposo, senatore del Regno, di anni 76, e S. E. Giuseppe Biancheri, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, presidente della Camera dei deputati, di anni 82, entrambi per questo atto, residenti a Racconigi.

Di tutto quanto sopra ho fatto compilare dal comm. avv. Federico Pozzi, direttore della Segreteria del Senato, Cancelliere assunto per gli atti civili della Reale Famiglia, il presente atto, scritto in due originali, da conservarsi uno negli Archivi del Senato e l’altro negli Archivi generali del regno.

Datone lettura agli interessati, lo hanno questi meco sottoscritto in ambedue gli originali.
Seguirono le firme: Vittorio Emanuele, Costantino Nigra, Giuseppe Biancheri, Giuseppe Saracco, Giovanni Giolitti.

Il reale infante, quasi sommerso dal mare di trine del porte-enfant, durante tutta la cerimonia, era sorretto dalle tornite braccia della dama d’onore della regina, Giulia Trigona di Sant’Elia, moglie del predetto conte Romualdo, in abito crème, guarnito di pagliuzze d’argento e lungo strascico. Chi avrebbe mai potuto immaginare che, poco più di cinque anni più tardi, la bella dama sarebbe andata incontro a un tragico, scandaloso destino.

Mentre dagli spalti della fortezza romana di Monte Mario tuonavano le 101 protocollari salve di artiglieria, dando l’avvio alle batterie di tutti i grandi centri della penisola, Vittorio Emanuele, a tangibile testimonianza della propria gioia paterna, elargiva la cospicua somma di un milone di lire alla cassa nazionale della vecchiaia per gli operai.

Il 29 settembre veniva reso ufficiale il motu proprio di conferimento del titolo di Principe di Piemonte, pubblicato con il R. D. del successivo 19 ottobre.

Il secondo battesimo si svolse il 4 novembre. La famiglia reale avrebbe voluto che avesse luogo in una basilica, officiato da un porporato, ma Pio X non ne volle sapere e vietò a tutti i membri della corte pontificia di prendere parte. Ma l’intermediario, don Ferrarini, recò ugualmente una buona notizia, che non poteva che interpretarsi come segno di distensione dei rapporti tra il Vaticano e il regno d’Italia: il Papa consentiva a che il rito avesse luogo nella cappella Paolina del Quirinale, che era stata sconsacrata il 20 settembre 1870, all’atto della occupazione della sede pontificia da parte delle truppe italiane, seguita dal suo ‘esproprio’ a uso di reggia.

L’officiante fu questa volta monsignor Giuseppe Beccaria, cappellano maggiore di S. M. il re d’Italia, assistito dal suo ‘predecessore’ monsignor Balladore e da uno stuolo di prelati disponibili.

I padrini di battesimo dell’erede al trono furono il Kaiser Guglielmo II e il re d’Inghilterra, Edoardo VII, rispettivamente zio e nipote, in quanto il primo nasceva da una figlia della regina Vittoria, che era sorella del secondo. Non furono personalmente presenti, non si sa bene se per particolari criticità politiche del momento (imperatore di Germania voleva dire Triplice Alleanza, di cui l’Italia faceva parte, ma non di rado occhieggiando alla Intesa Cordiale, impersonata dal Re di gran Bretagna), oppure perché luterano l’Hohenzollern e capo della chiesa anglicana il secondo. Ma a rappresentarli essi avevano entrambi designato un loro fratello, per cui mandarono al Quirinale il principe Enrico di Prussia e il duca di Connaught, Arturo di Saxe-Coburg-Gotha.

C’era anche il duca di Oporto per gli sventurati Braganza, nonché il fior fiore dell’aristocrazia europea. La cerimonia fu di alto livello, nella cornice splendida della cappella Paolina, e il banchetto che seguì nel salone d’onore, all’altezza delle tradizioni di casa Savoia e della migliore gastronomia franco-italiana.

La nascita dell’erede di Vittorio Emanuele III sembrava assicurare all’istituzione monarchica del Paese ben più lunga vita di quella che il fato le riservò.

Angelo Scordo
L’articolo si è avvalso, oltre che di numerose pubblicazioni periodiche del tempo (quali, a esempio, La illustrazione italiana), in particolare del primo numero del rinato (dopo tre anni di silenzio) Calendario d’Oro, anno XVI, ottobre 1904, Roma.

Quanti sono i Nobili in Italia?

Quanti sono i Nobili in Italia?

Riflessioni sulla Consulta Araldica del Regno e il Libro d’Oro nella sua XXV edizione

Il Libro d’Oro della Nobiltà Italiana rappresenta, dalla sua prima edizione del 1910, in Italia un repertorio sostanzialmente unico nel suo genere.

Prima di procedere nella presentazione dei dati statistici che abbiamo ricavato dalla XXV edzione del Libro d’Oro, pensiamoo che sia opportuno premettere una disanima sulla situazione storica dei vari registri riguardanti la nobiltà.

 

Breve storia della Consulta Araldica e del Libro d’oro

di Roberto Sandri Giachino

Dichiarata l’Unità d’Italia (anche se sarà completata con la presa di Roma del 1870), sorse la necessità di istituire un organo consultivo che si occupasse della materia nobiliare, data la pluralità di ordinamenti nobiliari, le specificità e diversità fra essi. Facendo riferimento all’art 79 dello Statuto del Regno (detto Statuto Albertino, promulgato il 4.3.1848 ed esteso, dopo l’Unità, a tutti i territori del Regno d’Italia), con R.D. del 10 ottobre 1869 n. 5318 fu istituita la Consulta Araldica “ per dar parere al Governo in materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onoreficenze…”, e tenere un registro dei titoli gentilizi.

Con il R.D.  8 maggio 1870 furono stabilite le basi del diritto nobiliare del Regno d’Italia con molte disposizioni, tra le quali l’elenco dei titoli suscettibili di concessione o riconoscimento; i provvedimenti di competenza sovrana (concessione, conferma, autorizzazione, rinnovazione, riconoscimento); le modalità del riconoscimento per giustizia su domanda dell’interessato; la facoltà (della Consulta Araldica) di iscrivere d’ufficio i  discendenti di famiglie notoriamente nobili e di quelle già iscritte negli antichi Libri d’Oro delle repubbliche di Venezia e Genova. Libro d’Oro è infatti un termine generico, diffuso in tutta Italia, che definisce un registro nel quale erano annotate le famiglie nobili; infatti esistevano elenchi dei nobili di numerose città e stati dell’Italia preunitaria chiamati: Libro d’Oro, Libro della Patrizia Nobiltà, Libro della Nobiltà, Libro della Cittadinanza Nobile o del Patriziato. Si consideri, per esempio, che a Venezia esisteva il Libro d’Oro dal 1506; a Genova dal 1528 (liber nobilitatis detto Libro d’Oro); a Roma il Libro d’Oro Capitolino dal 1746; a Modena nel 1815 fu riaperto il Libro d’Oro, già esistente dal 1788; a Lucca il Libro d’Oro fu istituito nel 1628…

I RR.DD. del 11.12.1887 e del 5.1.1888 modificarono l’ordinamento della Consulta araldica e disposero (art. 11) la compilazione di registri nei quali dovevano essere trascritte le nuove concessioni, i riconoscimenti ed i vecchi minutari esistenti presso la Consulta Araldica stessa.

Con R.D. 15 giugno 1889 furono istituite le commissioni araldiche regionali (rese permanenti nel 1891) con il compito di formare gli elenchi regionali delle famiglie nobili ed esaminare preliminarmente le pratiche nobiliari della regione storica di competenza.

Nel 1889 fu istituito un registro dei titoli gentilizi delle famiglie che avevano ottenuto decreti di concessione o riconoscimento di titoli nobiliari nel Regno d’Italia dopo l’Unità e furono progressivamente compilati 14 elenchi regionali nei quali furono iscritte le famiglie già registrate negli elenchi ufficiali degli stati pre-unitari.

Un nuovo ordinamento della Consulta Araldica fu approvato con R.D. 2.7.1896 n. 313 cui seguì il regolamento d’esecuzione (R.D. 5 luglio 1896 n. 314) che prevedeva, all’art. 68, l’istituzione del Libro d’oro della nobiltà italiana, registro manoscritto nel quale dovevano essere iscritte le famiglie che avevano ottenuto la concessione, rinnovazione o riconoscimento di titoli di nobiltà; agli artt. 77-82 era prevista la costituzione dell’Ufficio araldico presso il Ministero dell’Interno, con funzione di segreteria della Consulta

Erano iscritti nel Libro d’oro tutti coloro che ottennero un titolo di nobiltà con provvedimento sovrano di grazia e coloro che ebbero un riconoscimento dei propri diritti nobiliari con un provvedimento governativo di giustizia; tutte le famiglie iscritte nel Libro d’oro erano comprese anche negli elenchi regionali e, per distinguerle,  il cognome era preceduto da un asterisco.

Oltre al registro manoscritto detto Libro d’oro della Nobiltà Italiana era previsto che fossero tenuti dall’Ufficio Araldico sotto la direzione del Commissario del Re i seguenti altri volumi manoscritti: “Libro Araldico dei titolati esteri”, “Libro araldico della cittadinanza” (per le famiglie di distinta civiltà titolari di uno stemma), “Libro araldico degli Enti Morali”, ”Elenco Ufficiale Nobiliare”.

Si consideri che il Consiglio di Stato con decisione dell’11 dicembre 1925 stabilì che il provvedimento di iscrizione al Libro d’oro non aveva in sé valore di una dichiarazione giuridica sulla esistenza e pertinenza del diritto alle distinzioni nobiliari di cui era domandata l’iscrizione, ma era un atto amministrativo, che seguiva alle dichiarazioni delle autorità competenti.

Da sottolineare, infine, la finalità anche fiscale dell’iscrizione al Libro d’oro perché il R.D. 22.9.1932 n. 1464 obbligava al pagamento delle tasse previste per il titolo e per ogni annotazione di nascita, matrimonio e morte.

A proposito del Libro d’Oro della Nobiltà Italiana edito dal Collegio Araldico-Roma, Carmelo Arnone nel suo volume Diritto nobiliare Italiano storia ed ordinamento scriveva:  

[…] Il Libro d’oro è una compilazione inedita, fatta dalla pubblica amministrazione nella quale si iscrivono le famiglie italiane che ottengono la concessione, la rinnovazione, l’autorizzazione o il riconoscimento di titoli e attributi nobiliari […].

ed aggiungeva in nota:

I così detti Libri d’oro che sono in vendita sono compilazioni di privati, che non hanno valore legale. Pregevole è però per la copia e la esattezza delle notizie il Libro d’Oro della Nobiltà Italiana pubblicato periodicamente fin dal 1910 per cura del Collegio Araldico Romano”.

Gian Carlo Jocteau scriveva nel 1997:

[all’inizio del Novecento] prese corpo un’iniziativa destinata a sopravvivere sino ai giorni nostri: si trattava del Libro d’oro della nobiltà italiana, che con una nuova ambizione di respiro nazionale comparve per la prima volta nel 1910 (fino ad oggi ne sono comparse 20 edizioni ed è in preparazione la ventunesima), raccogliendo con sistematicità e con obiettivi di progressiva completezza cenni storici e genealogici delle famiglie nobili italiane e notizie sui loro membri viventi […]

Giovanna Arcangeli, all’epoca, responsabile del servizio araldico dell’Archivio Centrale dello Stato, descriveva con precisione il Libro d’oro istituito con il Regio Decreto 314/1896:

Nell’aprire i grandi volumi del Libro d’oro della nobiltà italiana si è attratti dalla solennità delle dimensioni (45×60 cm formato detto in folio), dalle robuste parti metalliche poste a sostegno e protezione dei punti potenzialmente più deboli della pregevole rilegatura di marocchino; si è colti dal seducente splendore dello stemma stampigliato sul piatto superiore della legatura. Aprendo poi il volume ci si perde nel labirinto armonioso e complesso dei nominativi delle singole famiglie-vergati in inchiostro dorato [] La serie archivistica si compone nella sua completezza di trenta volumi, ciascuno mediamente contiene 199 bifogli. Tutta la serie ha la medesima altezza e tipo di legatura, esternamente ciascun volume è contraddistinto da cifre romane incise in oro [] La numerazione ricorre in tutte le pagine doppie con l’indicazione del numero del volume. Rigore e gravità cancelleresche sono affidate al calligrafo che con estrema ed accurata perizia annotò a grandi lettere, ricorrendo a una singolare sintesi paleografica, il nome della famiglia e i luoghi di origine e residenza […]”.

Per avere un esempio del contenuto di questa serie archivistica manoscritta, si può confrontare il libro Alle radici dell’identità nazionale Prosopografie storiche italiane Libro d’oro della nobiltà italiana (I-II) pubblicato nel 2009 dove sono stampati in fac-simile i primi due volumi.

 

Pubblicazioni del Regno

Come detto sopra, le commissioni araldiche regionali compilarono i primi  Elenchi Ufficiali nobiliari del Regno d’Italia e pubblicarono, sia su istanza delle famiglie, sia d’ufficio basandosi sui documenti degli archivi di stato, in forma provvisoria poi in forma definitiva, quattordici Elenchi Regionali, tra il 1895 ed il 1912, approvati, ciascuno, con Decreto Reale (si noti che alcuni furono ripubblicati in edizione anastatica dalla casa editrice Forni nel 1988 e da 3T di Gianni Trois e figli di Cagliari nel 1972).

In seguito gli elenchi regionali aggiornati furono fusi in un unico volume e fu pubblicato (Torino: Bocca, 1922) l’Elenco ufficiale nobiliare italiano approvato con R.D. 3.7.1921 n.972 e ripubblicato in ristampa anastatica dall’editore Arnaldo Forni a Bologna nel 1970 e nel 1997.

Nel 1933 il Poligrafico dello Stato editò l’Elenco ufficiale della nobiltà italiana approvato con R.D. 7.9.1933 n. 1990. In questa volume le famiglie iscritte nel Libro d’oro della Consulta Araldica erano contrassegnate con un asterisco; le altre famiglie presenti (senza asterisco), in forza dell’art. 2 dell’ultimo decreto citato, dovevano chiedere l’iscrizione nel Libro d’oro nel termine di tre anni (poi prorogato di altri due), presentando la documentazione e pagando le tasse previste.

In seguito fu approvato con R.D. 1.2.1937 e pubblicato l’ Elenco ufficiale della nobiltà italiana. Supplemento per gli anni 1934-1936 (Roma, 1937); anche in questo volume solo le famiglie iscritte al Libro d’oro erano contrassegnate da un asterisco mentre le altre famiglie nobili erano senza asterisco. Il 7.6.1943 fu emanato un nuovo ordinamento dello stato nobiliare italiano ed un nuovo regolamento della Consulta Araldica che prevedevano l’obbligo per tutte le famiglie nobili di iscriversi nel Libro d’oro.

In seguito per le vicende della guerra ed istituzionali non furono pubblicati altri aggiornamenti e dopo il 25 luglio 1943 la Consulta araldica cessò di funzionare; scriveva Aldo Pezzana:

[…] Elenchi ufficiali non ne vennero più pubblicati sicché la possibilità di effettuare l’iscrizione [nel Libro d’oro] venne meno: la distinzione delle famiglie con o senza asterisco permane peraltro nelle pubblicazioni private in materia nobiliare[…]”.

 

Dopo la Costituzione Italiana

La Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948, nella XIV disposizione transitoria e finale dispose “I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica”, chiudendo di conseguenza il Libro d’oro previsto dai precedenti Regi Decreti.

Aldo Pezzana, presidente onorario del Consiglio di Stato, a questo proposito puntualizzava:

[] in pratica dopo il 25 luglio [1943] la Consulta Araldica smise di funzionare. Continuò invece a funzionare l’Ufficio araldico. Esso provvide all’istruttoria delle domande di riconoscimento ed alla predisposizione dei pochissimi provvedimenti di giustizia [] e dei più numerosi provvedimenti di grazia emanati da Umberto II, prima come Luogotenente generale del Regno dopo il 4 giugno 1944 e poi come Re fra il 9 maggio e  il 13 giugno 1946 [] Ora, dopo sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, l’ordinamento del 1943 è caduto sotto la scure del D.L. 25.6.2008 n. 112 (il c.d. decreto “taglia leggi”) convertito nella legge 18 febbraio 2009 n. 9, ed esplicitamente abrogato.

Per terminare, si ricorda che il Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano detto di Malta, pubblicò, nel 1960, presso la Tipografia Poliglotta Vaticana, l’Elenco storico della Nobiltà Italiana Compilato in conformità dei Decreti e delle Lettere Patenti originali e sugli Atti Ufficiali di Archivio della Consulta Araldica dello Stato Italiano con lo scopo di riunire in un unico volume: le famiglie comprese negli Elenchi Ufficiali della Consulta Araldica; quelle che ebbero provvedimenti in materia nobiliare dopo l’ultima pubblicazione del 1934-36 fino al 1 gennaio 1948 (comprendendo anche i decreti e le sentenze emesse dopo il cessato funzionamento della Consulta Araldica); le famiglie insignite di titoli pontifici e quelle con titoli concessi dalla Repubblica di San Marino fino al 1959. Questa pubblicazione comprendeva anche le famiglie iscritte solo genericamente nell’Elenco ufficiale nobiliare italiano del 1921 (distinte da una piccola losanga), conteneva lo stato personale (aggiornato quando fu possibile), contrassegnava le famiglie registrate nel Libro d’oro con l’asterisco e con la riproduzione degli stemmi a colori.

 

La XXV edizione del Libro d’Oro. Spunti statistici

di Fabrizio Antonielli d’Oulx

Dopo questa disanima della situazione storica, vediamo ora quali informazioni si possano ricavare della XXV edizione del Libro d’Oro, stampato nello scorso giugno e già fatto pervenire a tutti i sottoscrittori.

La prima domanda che ci si pone, a fronte dei due tomi, è: quante famiglie vi siano menzionate. A questo proposito è opportuno fare subito una distinzione tra le famiglie riportate per intero (ossia con lo sviluppo degli stati personali contenenti le indicazioni di quando le persone siano nate, matrimoni, ecc.) e quelle di cui si trovano solo i cognomi quasi sempre con rimandi ad edizioni precedenti.

Per intenderci, vediamo un esempio (si scusi la pessima riproduzione, ma non ce la sentivamo di squinternare un libro…): dei Codebò si dice solo Patr. di Modena, e non si riporta nessun rinvio, come è invece per i Codeca’ per i quali si rinvia al volume XX, pag.444, dove della famiglia si riportano gli stati personali. Si sa dunque che i Codebò sono patrizi di Modena perché così risulta dagli elenchi ufficiali del Regno d’Italia, ma nelle diverse edizioni del Libro d’Oro la famiglia Codebò non è mai stata riportata con gli stati personali.

Ancora: i Coffari sono presenti con i loro stati personali nel volume XXV a pag. 459, mentre i Coglitore, nobili dei baroni di Sant’Agostino, non sono mai stati presi in considerazione, con i loro stati personali, dal nostro Libro d’Oro.

Crediamo così di aver chiarito che cosa si intenda per famiglie “riportate per intero” e famiglie con i “rimandi”. Orbene, nella XXV edizione sono riportate per intero, con gli stati personali, 1.997 famiglie; solamente con il rimando sono per contro 3.859. Dunque in totale le famiglie nominate sono 5856, numero che ipotizziamo non si discosti molti dal numero di famiglie nobili in Italia.

Salta agli occhi, dal seguente grafico, come in realtà le famiglie riportate per intero nel Libro d’Oro siano circa la metà di quelle con il rimando.

È opportuno però sottolineare che il Collegio Araldico, editore o almeno curatore del Libro d’Oro dal suo nascere, ha censito con gli stati personali, nel tempo, più o meno 5.000 famiglie, offrendo quindi agli studiosi un fondamentale supporto per approfonditi studi genealogici.

Le analisi che seguono fanno riferimento solo alle 1997 famiglie riportate con gli stati personali, essendo il lavoro di analisi sulle famiglie solo con il richiamo carente di dati e comunque superiore alle forze umane!

Nel Libro d’Oro dunque solo un terzo circa delle famiglie nominate trova un opportuno sviluppo con le informazioni circa i singoli componenti; numero che deve essere aumentato, sperando di riuscire a farlo nelle prossime edizioni.

Riteniamo comunque che un campione di 2000 famiglie sia significativo e che ci permetta di esporre qui di seguito diverse considerazioni.

È ancora necessario precisare il criterio con il quale le famiglie vengono riportate con lo sviluppo dello stato personale o semplicemente con un rimando. Non si tratta, per le ultime edizioni del Libro d’Oro e quindi anche per la XXV qui presa in esame, di una discriminante “compri o non compri” nel senso che l’acquisto dei volumi determini un diverso trattamento. Semplicemente le famiglie vengono citate con il rimando quando da due edizioni del Libro d’Oro (quindi da 8 – 10 anni) non si siano più fatte sentire, anche solo con una mail per dire che non ci sono aggiornamenti da apportare. Il lungo silenzio fa infatti supporre, se non l’estinzione della famiglia, certamente un disinteresse.

Le prime tre edizioni del Libro d’Oro: 1910, 1912-14,1914-16

Chiariti questi aspetti, vediamo ora, nella semplice tabella seguente, come siano distribuiti i titoli nobiliari delle 1997 famiglie con gli stati personaliVorremmo ancora ribattere a quelle persone che, con un sorrisetto, notano “…ai miei tempi tutti nobili italianai stavano in un piccolo libretto…”. È vero, ma allora non si riportava la storia delle famiglie (cercheremo di porre un rimedio per le prossime edizioni alle storie troppo lunghe e a volte esagerate e poco credibili) e non si risaliva con le genealogie all’’800 (abbiamo più volte combattuto anche contro questa tendenza, ma non è assolutamente cosa facile!).

nobili

475 24%
patrizi 119 6%%
baroni 208 10%
conti 664 33%
marchesi 351 18%
duchi   72 4%
principi 108

5%

Dunque il titolo più diffuso è quello di Conte (664 = 33%), seguito dalla somma dei Nobili e Patrizi (594 = 30%); poi ci sono i Marchesi (351 = 18%), i Baroni (208 = 208%), i Principi (108 = 5%) ed in ultimo i Duchi (72 = 4%).

Certamente sarebbe interessante suddividere i vari titoli nobiliari in funzione della loro provenienza territoriale, verificando così se sia corretta l’impressione che al nord abbondino i conti ed al sud i baroni ed i principi… ma questo è un lavoro che lasciamo volentieri ad altri.

Come è noto, le famiglie presenti nel Libro d’Oro hanno tre segni che ne contraddistinguono l’origine della nobiltà:

  • ° con un cerchietto sono contraddistinte le famiglie che hanno avuto un provvedimento di grazia di S.M il Re Umberto II, non trascritto presso la Consulta Araldica, od un atto sovrano dei Sommi Pontefici (successivo al 1870) o della Repubblica di S. Marino (successivo al 1861), per i quali non sia intervenuta prima del 1946 l’autorizzazione all’uso in Italia, od un provvedimento di giustizia del Corpo della Nobiltà Italiana, o la cui nobiltà sia stata riconosciuta dal Sovrano Militare Ordine di Malta per la ricezione con prove nelle categorie di cavalieri che richiedono prove nobiliari;
  • * con un asterisco le famiglie che avendo ottenuto dal Regno d’Italia, fra il 1861 ed il 1946, un provvedimento di giustizia o di grazia, erano registrate nel “Libro d’Oro” della Consulta Araldica del Regno, ora depositato presso l’Archivio Centrale dello Stato
  • senza alcun contrassegno, le famiglie le quali, pur non avendo avuto a loro favore alcun atto formale fra il 1861 ed il 1946, erano inserite negli Elenchi Ufficiali Nobiliari del 1921 e dei 1933 e nel supplemento 1934-36

Analizziamo quindi come le 1997 famiglie si distribuiscano in funzione dei segni che ne contraddistinguono l’origine della nobiltà si ottiene il seguente grafico:Numericamente 1378 sono le famiglie con l’asterisco (69%), 355 quelle senza contrassegno (18%) e 264 quelle con il cerchietto (13%).Approfondendo questo argomento, le famiglie senza contrassegno sono così suddivise:Mentre le famiglie con cerchiettoLe famiglie con asterisco si distribuiscono come segue.

Questo tipo di distribuzione (senza contrassegno, cerchietto, asterisco) può portare a delle considerazioni sulle singole categoria di nobiltà.Vediamo i 474 Nobili. Le famiglie senza nessun contrassegno sono 103 (22%), quelli con il cerchietto 123 (26%) e quelli con asterisco 249 (52%).I 119 Patrizi sono 42 senza nulla (35%), 8 con il cerchietto (7%) e 69 con l’asterisco (58%).I 208 Baroni sono 25 senza nulla (12%), 37 con il cerchietto (18%) e 146 con l’asterisco (70%).I 664 Conti sono 111 senza nulla (17%), 68 con il cerchietto (10%) e 485 con l’asterisco (73%).I 351 Marchesi sono 42 senza nulla (12%), 19 con il cerchietto (5%) e 290 con l’asterisco (83%).I 72 Duchi sono 15 senza nulla (21%), 6 con il cerchietto (8%) e 290 con l’asterisco (51%).Infine i 108 Principi sono 17 senza nulla (16%), 3 con il cerchietto (3%) e 88 con l’asterisco (81%).

Dobbiamo ancora spendere due parole sulla “PARTE SECONDA” del Libro d’Oro, che spesso ha suscitato discussioni varie. In questa sede non esprimiamo pareri, limitandoci ad esporre la situazione numerica. Nelle avvertenze, a cui lo stesso Libro d’Oro rimanda, si legge “Nella parte seconda sono registrate alcune delle famiglie la cui situazione di nobiltà venne nel passato accertata dal Collegio Araldico o dal S.M.O. Costantiniano di San Giorgio per la ricezione con prove nelle categorie di cavalieri che richiedono prove nobiliari.“ Sono pubblicate 47 famiglie con gli stati personali, rappresentando quindi, sulle 1997 della prima parte, il 2,35 %.

Una cifra quindi molto contenuta, ma che dovrà portare a delle riflessioni per la XXVI edizione.Ragioniamo ora sulle 3859 famiglie citate solo con il richiamo nella XXV edizione del Libro d’Oro; si tratta di stime e non di conteggi precisi che comporterebbero una pazienza ed un impegno veramente superiori alle nostre forze!

Possiamo considerare che il 70% delle famiglie richiamate siano state sviluppate con gli stati personali nelle precedenti edizioni del Libro d’Oro, dal 1910, essendo quindi circa 2700 famiglie.Un 8% possiamo considerare essere le famiglie che non sono mai state analizzate nei loro stati personali nelle precedenti edizioni; sono citate nei richiami perché presenti negli elenchi ufficiali del Regno d’Italia: sarebbero quindi circa 300.Infine abbiamo considerato che, sulla base dei numeri forniti dall’Associazioni regionali del Corpo della Nobiltà Italiana del Veneto e della Sicilia, il 22% pari a 850 famiglie si siano estinte.

Ancora un’ipotesi. Se noi sommiamo le quasi 2000 famiglie di cui viene, nella XXV edizione, riportato lo stato personale alle 3850 famiglie delle precedenti edizioni e aggiungiamo ancora le 300 famiglie di cui il Libro d’Oro non si è mai interessato, arriviamo ad avere un’ipotesi di 6200 famiglie ancora esistenti in Italia. Quale moltiplicatore ipotizzare per poter indicare il numero di persone nobili?

In base al censimento ISTAT del 2011 della popolazione italiana la media di componenti per nucleo familiare era di 3 persone; è probabilmente un dato che a noi non serve, perché nel Libro d’Oro non sono riportati in modo autonomo i singoli nuclei familiari, ma, per così dire, tutto un ceppo composto di diverse famiglie. Ad esempio mio fratello ed io siamo tutti riportati come Antonielli, e così i miei 3 cugini (lontani) e la loro madre. Tutti queste 6 famiglie (per l’ISTAT) Antonielli sono considerate, nel Libro d0’Oro, come una sola famiglia. Si deve allora cominciare a moltiplicare i 6200 nuclei familiari almeno per 6 (in base all’esempio Antonielli, ma ci sono ceppi ben più articolati…) arrivando così a contare circa 37.200 famiglie. Si può ora applicare a queste 37.200 famiglie ipotizzate il coefficiente 3 persone dell’ISTAT? Probabilmente ancora no, perché possiamo presumere che il ceto preso in esame dal Libro d’Oro sia più tradizionalista e maggiormente portato a nuclei familiari più consistenti (meno separazioni, divorzi, persone che vivono da sole…) per cui, sempre basandomi sugli Antonielli, penso che si possa tranquillamente adottare un coefficiente di 4 persone per famiglia. Alla fine, forse, possiamo dire che i nobili in Italia sono 37.200 x 4 = 148.800…è solo un’ipotesi, dove ciascuno può cambiare i moltiplicatori a piacere! Sono troppi, sono pochi? Proviamo a vedere un rilievo fatto nel XVIII secolo

Stato Numero di nobili % di nobili sul tot. della popolazione
Polonia 800.000 15%
Spagna 722.000 7 – 8 %
Russia 5 – 600.000 2 – 3 %
Francia 300.000 1 %
Svezia 15.000 0,5 %
MEDIA  nel XVIII 5,3 %

Qual è la percentuale attuale dei nobili italiani sulla popolazione stimata di 60 milioni di abitanti? 148.800 nobili su 60 milioni = circa lo 0,2 %. Una percentuale, a nostro parere, assolutamente credibile!

Con quest’ultimo ragionamento chiudiamo questa prima analisi, sotto un profilo statistico, della XXV edizione del Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, ben sapendo che la ricchezza di dati in essa contenuti permetterebbe di approfondire ulteriormente la conoscenza della nobiltà italiana.

 

Note e fonti

Cfr. FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, “Libro d’oro della nobiltà italiana: non sussistono il diritto di privativa dello Stato italiano sulla titolazione né il rischio di confusione con la omonima pubblicazione privata”, in, Rivista del Collegio Araldico, anno CXIII, giugno 2016, pp. 90-108. L’Autore tratta della sentenza favorevole al Libro d’Oro edito dal Collegio Araldico nel giugno 2016 con un preciso commento e scrive ampiamente  della legislazione nobiliare post-unitaria del Regno d’Italia.

Utilizzo Libro d’Oro con le maiuscole per i volumi degli Stati o città preunitari e per le pubblicazioni del Collegio Araldico; Libro d’oro con la minuscola per il registro manoscritto istituita dal Regno d’Italia conformemente ai decreti.

Cfr. Codice nobiliare araldico, a cura di Giustiniano Degli Azzi, Giovanni Cecchini, Firenze: Alfani e Venturi, 1928, pp. 90,126-128,159; CARLO MISTRUZZI DI  FRISINGA, Trattato di diritto nobiliare, vol. 2, Milano: Giuffré, 1961, pp. 437-439. Per un esempio dei Libri d’Oro preunitari, vedi: ILDEBRANDO COCCIA URBANI, “I Libri d’Oro di Toscana-Genealogie dei Libri d’Oro di Toscana”, in, Rivista del Collegio Araldico, anno LXVII, Roma: Collegio Araldico, 1969, pp. 309-315.

F. A. MAGNI, “Libro d’oro della nobiltà italiana”, cit., p. 101, n.10: furono mantenuti anche i Registri dei Decreti Reali, Ministeriali ed introdotto un terzo registro per gli atti sovrani riguardanti materie araldico-nobiliari.

CARMELO ARNONE, Diritto nobiliare Italiano storia ed ordinamento, Milano: Hoepli, 1935, p. 333.

C. ARNONE, Diritto nobiliare Italiano, cit., p. 329.

GIAN CARLO JOCTEAU, Nobili e nobiltà nell’Italia unita, Roma-Bari: Laterza, 1997, p.152.

GIOVANNA ARCANGELI, “Tracce per una storia delle carte della Consulta Araldica”, in, Alle radici dell’identità nazionale Prosopografie storiche italiane Libro d’oro della nobiltà italiana (I-II), sotto la direzione di Errico Cuozzo e Guglielmo de’Giovanni-Centelles, Roma: Società Italiana di Scienze Ausiliarie della Storia, 2009, pp. 37-38.

Cfr. Alle radici dell’identità nazionale, cit., i primi due volumi manoscritti del Libro d’oro, conservati all’Archivio  Centrale dello  Stato, sono pubblicati in fac-simile dalla p. 291 alla fine del volume, per un totale di 398 bifogli.

Fornì ristampò l’elenco definitivo della Lombardia; 3T della Sardegna.

ALDO PEZZANA, “Storia della Consulta Araldica”, in, Alle radici dell’identità nazionale, cit., p.30.

ALDO PEZZANA, “Storia della Consulta Araldica”, in, Alle radici dell’identità nazionale, cit. pp. 34-35. Furono anche registrate alcune sentenze dell’autorità giudiziaria che riconobbero tra il 1946 ed il 1947 la spettanza di titoli e predicati nobiliari. Cfr. Anche A. PEZZANA, “La sentenza della Corte Costituzionale sui titoli nobiliari”, in Rivista del Collegio Araldico, anno LXV, 1967, Roma, pp. 205-229.

E’ il famoso Libro d’Oro per cui prima tale Ettore Gallelli e poi l’Avvocatura dello Sato hanno richiesto l’applicazione del decreto di urgenza ex art. 700 c.c.

La nobiltà polacca è nettamente diversa dalle altre nobiltà europee del XVIII secolo. Il principio di aequitas che veniva difeso ed affermato portava ad un numero elevatissimo di “nobili”, che tali erano anche se molti di loro conducevano una vita assolutamente uguale a quella dei contadini più miseri. Avevano però tre prerogative che non erano concesse ai non nobili: potevano portare i capelli corti, le donne potevano avere vere e proprie scarpe e non semplici calzature di lacci di cuoio intrecciati ed infine, qualora condannati alla pena della frusta, avevano diritto ad essere stesi, per subire la condanna, su un tappetto e non sulla nuda terra…